Carissimi tutti, vi invito a vedere la trasmissione
"A SUA IMMAGINE" di RAI
UNO
che SABATO
15 OTTOBRE alle ore 17.10
trasmetterà un servizio su
GIULIA
GABRIELI
ragazza di 14 anni, malata di tumore che è morta la
sera del 19 agosto 2011, a casa sua,
a Bergamo, proprio mentre alla Gmg di Madrid si
concludeva la Via Crucis dei giovani.
"Eppure ce l’ha fatta." Ha trasformato i suoi due anni di
malattia in un inno alla vita...
La storia di Giulia
È morta ma ce l’ha fatta di Fabio Finazzi. Questa è la storia di Giulia Gabrieli, 14 anni, malata di tumore. Sappiate fin da subito che Giulia ce l’ha fatta. È vero, non è guarita: è morta la sera del 19 agosto, a casa sua, nel quartiere di San Tomaso de’ Calvi, a Bergamo, proprio mentre alla Gmg di Madrid si concludeva la Via Crucis dei giovani. Eppure ce l’ha fatta. Ha trasformato i suoi due anni di malattia in un inno alla vita, in un crescendo spirituale che l’ha portata a dialogare con la sua morte: «Io ora so che la mia storia può finire solo in due modi: o, grazie a un miracolo, con la completa guarigione, che io chiedo al Signore perché ho tanti progetti da realizzare. E li vorrei realizzare proprio io. Oppure incontro al Signore, che è una bellissima cosa. Sono entrambi due bei finali. L’importante è che, come dice la beata Chiara Luce, sia fatta la volontà di Dio». Giulia era fatta così: diceva queste cose enormi, che a noi adulti tremolanti sembrano impronunciabili, con la lievità dei suoi 14 anni. Eppure era una ragazza normale. Anzi, rivendicava spesso la sua normalità: era bella, solare, genuinamente teatrale, amava viaggiare, vestirsi bene e adorava lo shopping. Un’esplosione di raffinata vitalità, che la malattia, misteriosamente, non ha stroncato, ma amplificato. Il talento della scrittura. Aveva il talento della scrittura (due volte premiata al concorso letterario «I racconti del parco»). Amava inventarsi storie fantastiche, avventurose. Per questo paragonava la sua malattia a un’avventura. E rifletteva: «Il fatto è che la gente ha paura della malattia, della sofferenza. Ci sono molti malati che restano soli, tutti i loro amici spariscono, spaventati. Non bisogna avere paura! Se gli altri ci stanno vicino, ci vengono accanto, ci mettono una mano sulla spalla e ci dicono “Dai che ce la fai!”, è quello che ci dà la forza di andare avanti. Se questo non succede ti chiedi: perché vanno così lontano? Se hanno paura, allora devo temere anch’io… Perché dovrei lottare per la guarigione se nessuno mi sta accanto?». Non solo conosceva perfettamente la sua malattia, ma aveva imparato a distinguere ogni farmaco, ogni risvolto tecnico delle chemioterapie. Con la sua amabile ma dirompente personalità non lesinava consigli (eufemismo, sarebbe meglio dire direttive) a medici e infermieri dell’oncologia pediatrica di Bergamo. In più ci aggiungeva la sua decisiva flebo di allegria: «Se trovi la forza per pensare: eh va be’, vado in ospedale, faccio una chemio e poi torno a casa, è tutta un’altra cosa. Certo anch’io quando sto male mi chiedo: perché è successo proprio a me? Poi però quando sto meglio dico: “Massì, dai, è passato”. Ci rido anche sopra…». La malattia va sdrammatizzata. La malattia va sdrammatizzata, diceva sempre Giulia. E ci riusciva così bene che pochi giorni prima di morire ha costretto uno dei suoi medici, in visita a casa sua, a mimare «quella volta in cui sono svenuta e tu mi ha presa al volo».. Lui ha dovuto mimare e farsi pure fotografare. Quel drammatico pomeriggio è finito con una risata collettiva. Già, i suoi «supereroi». Giulia aveva un rapporto personale, speciale, perfino confidenziale con ciascuno di loro. Li adorava, ampiamente ricambiata. E si arrabbiava moltissimo quando in Tv sentiva parlare di «malasanità». «Se ci fate caso non c’è molta differenza tra un supereroe e un medico. I supereroi salvano tutti i giorni la vita a delle persone, anche sconosciute. E lo stesso si può dire dei medici: solo che anziché usare le tele di ragno come Spiderman o le ali come Batman, usano le medicine. E poi, dal punto di vista umano, sono davvero imbattibili». Potete quindi immaginare con quale peso sul cuore i suoi supereroi le dovettero comunicare un giorno della «recidiva». Il tumore, un sarcoma tra i più aggressivi, tenacemente combattuto per un anno e ridotto in un angolo, si era ripresentato. Più forte di prima. C’era da ricominciare tutto da capo. Nello studio, i medici schierati avevano le lacrime agli occhi, che non sarà professionale ma è dannatamente umano. Non riuscivano a rompere il ghiaccio. Allora Giulia, che come al solito aveva già capito tutto, con uno di quei suoi gesti spontanei e regali, si è alzata e li ha abbracciati uno per uno (e chi l’ha conosciuta sa cosa erano i suoi abbracci…). Poi ha detto: «Ce l’ho fatta una volta ad affrontare le chemio, posso farcela anche la seconda. Forza, ripartiamo da capo». Insomma, li ha consolati, capite? Eppure, insisto, Giulia era una ragazza normale. Per esempio, come tutti i suoi coetanei, amava la musica. E in modo speciale un grande classico di Claudio Baglioni, nella versione cantata da Laura Pausini: «Strada facendo». «Strada facendo vedrai che non sei più da solo… mi trasmette proprio un grande slancio: dai che ce la fai! Strada facendo troverai anche tu un gancio in mezzo al cielo… Sì, mi dà leggerezza, una grande speranza». Strada facendo Giulia si è imbattuta nella storia di Chiara Luce Badano, morta nel 1990, a diciotto anni, per un tumore osseo e proclamata beata il 25 settembre 2010. E Dio solo sa quanto è stato provvidenziale questo incontro: «Lei è morta, però ha saputo vivere questa esperienza in modo così luminoso e solare, abbandonandosi alla volontà del Signore. Voglio imparare a seguirla, a fare quello che lei è riuscita a fare nonostante la malattia. La malattia non è stata un modo per allontanarsi dal Signore, ma per avvicinarsi a Lui…». Ma Dio dov’è? Avvicinarsi a Dio? Ma come, la malattia t’incalza, la tua vita è sempre più stravolta, il tuo fisico sempre più debilitato e tu ti avvicini a Dio anziché urlargli tutta la tua rabbia? In realtà anche Giulia a un certo punto è stata «molto arrabbiata». Di più: è scesa nell’abisso – il cristianissimo abisso – del mio Dio, mio Dio perché mi hai abbandonata? Racconterà, in seguito: «Continuavo a dire ai miei genitori: ma Dio dov’è? Adesso che sto malissimo, ho addosso di tutto, Dio dov’è? Lui che dice che posso pregare, può fare grandi miracoli, può alleviare tutti i dolori perché non me li leva? Dov’è?». Giorni drammatici, di autentica disperazione.. I medici pensavano a un ovvio, prevedibile crollo psicologico. Ma Giulia cercava un’altra risposta e l’ha trovata a Padova. Ci era andata per la radioterapia ed era finita nella basilica di Sant’Antonio, in cerca di un po’ di pace. A un certo punto una signora raccolta in preghiera, mai vista prima, le ha messo la mano sopra la sua mano malata. «Non mi ha detto niente, ma aveva un’espressione sul volto come se mi volesse comunicare: forza, vai avanti, ce la fai, Dio è con te. Sono entrata arrabbiata, in lacrime, proprio in uno stato pietoso, sono uscita dalla basilica con il sorriso, con la gioia che Dio non mi ha mai abbandonata. Ero talmente disturbata dal dolore che non riuscivo a sentirlo vicino, ma in realtà penso che lui mi stesse stringendo fortissimo. Quasi non ce la faceva più…». La gioia. Tenete bene a mente questa parola, perché in questa incredibile ma realissima storia sembra la più fuori posto e invece, alla fine, diventerà la parola chiave. Ma prima c’è da dire di un’altra grande passione di questa ragazza normale: la Madonna. Abbracciata in modo singolare in un primo viaggio a Medjugorje. E poi in un secondo più recente, chiesto per i suoi 14 anni, come regalo di compleanno, al seguito un pullman di 50 persone tra amici e parenti. Ha spiegato un giorno, in una testimonianza pubblica – non volava una mosca –, davanti a decine di ragazzi: «Non c’è una parola che possa descrivere Medjugorje: posso solo dirvi che l’amore della Madonna è talmente grande, è talmente forte che esplode in preghiera, conversioni, amore verso il prossimo». Va da sé che la devozione mariana si porta dietro un’altra passione: quella per il Rosario, recitato tutte le sere. Inusuale per una ragazzina? Può darsi. Ma Giulia ti sorprendeva sempre. Era sempre un passo avanti. E così, proprio nelle settimane di sofferenza più acuta, ha composto di suo pugno una «coroncina di puro ringraziamento». Diceva: «Nelle nostre preghiere, nelle nostre litanie, chiediamo sempre qualcosa per noi o per gli altri. Mai che ci si limiti a dire grazie, senza chiedere nulla in cambio». Questa formula non esisteva. Lei l’ha inventata e scritta. L’esame da 10 e lode Ma intanto la ragazza normale desiderava fortissimamente continuare a fare le cose normali della sua età. Per esempio l’esame di terza media. E trovando chissà dove le energie, sostenuta dalle insegnanti della scuola in ospedale (che lei amava profondamente e voleva fosse meglio conosciuta e valorizzata) e dalle prof della sua scuola media Savoia, anche questa volta ce l’ha fatta. A dispetto dei dati clinici e della sua prognosi, che la dava già per morta. Allo scritto di italiano un tema magistrale, ispirato al diario di un soldato al fronte. All’orale, con tutta la commissione d’esame riunita nel salotto di casa, la tesina sugli orrori delle guerre e della Shoah, con tanto di acutissima analisi critica del Guernica di Picasso. Il tutto unito da un filo vibrante: la trasposizione della sua sofferenza. Un’esposizione di mezz’ora filata, chiusa da un’irrituale ma quantomai appropriata standing ovation. Risultato: 10 e lode. Al suo fianco l’amica del cuore che singolarmente – ma non casualmente secondo Giulia – si chiama anche lei Chiara («È da sempre la mia migliore amica, lei è tutto per me»). Con la malattia, cresceva in lei l’urgenza di dare una testimonianza ai giovani, soprattutto a quelli che pensano di fare a meno di Dio, «impegnati in una frenetica caccia al tesoro, ma senza tesoro». Erano giorni di preghiera intensissima, di sofferenze offerte in particolare ai non credenti. Perché «ognuno ha un Dio e Dio c’è per tutti». Ecco l’idea di una video-testimonianza. Ancora volta ce l’ha fatta: l’intervista diventerà presto un dvd. Giulia, del resto, va detto con la dovuta cautela e senza enfasi, ma va detto, cambiava spesso le (moltissime) persone che incontrava. Chi entrava in casa sua, in quel bunker di serenità, ma anche di riservatezza e accoglienza che è la sua famiglia – a partire da mamma Sara, da papà Antonio e dal piccolo, formidabile Davide (9 anni) – si portava un carico di angoscia e usciva molto più leggero. Giulia, infine, credeva nei miracoli. Ma le grazie le chiedeva per gli altri, non per se stessa: in particolare i bambini malati conosciuti all’ospedale. Soltanto alla fine, quando il suo giogo era a tratti insopportabile e tutte le armi dei supereroi erano drammaticamente spuntate, ha iniziato a chiedere per sé. Ma solo «se è la volontà del Signore». Quale sia stata la volontà del Signore già lo sapete. La mattina del 19 agosto, a Madrid, il suo vescovo Francesco, che con lei aveva intessuto un dialogo fitto e confidenziale, ha raccontato la storia di Giulia ai mille e più ragazzi bergamaschi della Gmg. Non sapeva che si fosse aggravata così tanto. Poi la sera la Via Crucis, nella notte la notizia che era «andata incontro al Signore». Il giorno dopo, sabato, ha celebrato per lei la Messa con i giovani. E la mattina del lunedì, di ritorno da Madrid, qualche ora prima dei funerali, raccolto in preghiera con la famiglia, ha invitato a «correggere» così l’eterno riposo: «L’eterna gioia donale Signore, splenda a lei la luce perpetua. Amen». Con questa parola, gioia, di colpo così adeguata, finisce (o forse inizia), la storia di Giulia Gabrieli, la ragazza malata di tumore. Che è morta. Ma ce l’ha fatta. E giudicate voi, credenti o meno che siate, se tutto questo non è un miracolo.
È morta ma ce l’ha fatta di Fabio Finazzi. Questa è la storia di Giulia Gabrieli, 14 anni, malata di tumore. Sappiate fin da subito che Giulia ce l’ha fatta. È vero, non è guarita: è morta la sera del 19 agosto, a casa sua, nel quartiere di San Tomaso de’ Calvi, a Bergamo, proprio mentre alla Gmg di Madrid si concludeva la Via Crucis dei giovani. Eppure ce l’ha fatta. Ha trasformato i suoi due anni di malattia in un inno alla vita, in un crescendo spirituale che l’ha portata a dialogare con la sua morte: «Io ora so che la mia storia può finire solo in due modi: o, grazie a un miracolo, con la completa guarigione, che io chiedo al Signore perché ho tanti progetti da realizzare. E li vorrei realizzare proprio io. Oppure incontro al Signore, che è una bellissima cosa. Sono entrambi due bei finali. L’importante è che, come dice la beata Chiara Luce, sia fatta la volontà di Dio». Giulia era fatta così: diceva queste cose enormi, che a noi adulti tremolanti sembrano impronunciabili, con la lievità dei suoi 14 anni. Eppure era una ragazza normale. Anzi, rivendicava spesso la sua normalità: era bella, solare, genuinamente teatrale, amava viaggiare, vestirsi bene e adorava lo shopping. Un’esplosione di raffinata vitalità, che la malattia, misteriosamente, non ha stroncato, ma amplificato. Il talento della scrittura. Aveva il talento della scrittura (due volte premiata al concorso letterario «I racconti del parco»). Amava inventarsi storie fantastiche, avventurose. Per questo paragonava la sua malattia a un’avventura. E rifletteva: «Il fatto è che la gente ha paura della malattia, della sofferenza. Ci sono molti malati che restano soli, tutti i loro amici spariscono, spaventati. Non bisogna avere paura! Se gli altri ci stanno vicino, ci vengono accanto, ci mettono una mano sulla spalla e ci dicono “Dai che ce la fai!”, è quello che ci dà la forza di andare avanti. Se questo non succede ti chiedi: perché vanno così lontano? Se hanno paura, allora devo temere anch’io… Perché dovrei lottare per la guarigione se nessuno mi sta accanto?». Non solo conosceva perfettamente la sua malattia, ma aveva imparato a distinguere ogni farmaco, ogni risvolto tecnico delle chemioterapie. Con la sua amabile ma dirompente personalità non lesinava consigli (eufemismo, sarebbe meglio dire direttive) a medici e infermieri dell’oncologia pediatrica di Bergamo. In più ci aggiungeva la sua decisiva flebo di allegria: «Se trovi la forza per pensare: eh va be’, vado in ospedale, faccio una chemio e poi torno a casa, è tutta un’altra cosa. Certo anch’io quando sto male mi chiedo: perché è successo proprio a me? Poi però quando sto meglio dico: “Massì, dai, è passato”. Ci rido anche sopra…». La malattia va sdrammatizzata. La malattia va sdrammatizzata, diceva sempre Giulia. E ci riusciva così bene che pochi giorni prima di morire ha costretto uno dei suoi medici, in visita a casa sua, a mimare «quella volta in cui sono svenuta e tu mi ha presa al volo».. Lui ha dovuto mimare e farsi pure fotografare. Quel drammatico pomeriggio è finito con una risata collettiva. Già, i suoi «supereroi». Giulia aveva un rapporto personale, speciale, perfino confidenziale con ciascuno di loro. Li adorava, ampiamente ricambiata. E si arrabbiava moltissimo quando in Tv sentiva parlare di «malasanità». «Se ci fate caso non c’è molta differenza tra un supereroe e un medico. I supereroi salvano tutti i giorni la vita a delle persone, anche sconosciute. E lo stesso si può dire dei medici: solo che anziché usare le tele di ragno come Spiderman o le ali come Batman, usano le medicine. E poi, dal punto di vista umano, sono davvero imbattibili». Potete quindi immaginare con quale peso sul cuore i suoi supereroi le dovettero comunicare un giorno della «recidiva». Il tumore, un sarcoma tra i più aggressivi, tenacemente combattuto per un anno e ridotto in un angolo, si era ripresentato. Più forte di prima. C’era da ricominciare tutto da capo. Nello studio, i medici schierati avevano le lacrime agli occhi, che non sarà professionale ma è dannatamente umano. Non riuscivano a rompere il ghiaccio. Allora Giulia, che come al solito aveva già capito tutto, con uno di quei suoi gesti spontanei e regali, si è alzata e li ha abbracciati uno per uno (e chi l’ha conosciuta sa cosa erano i suoi abbracci…). Poi ha detto: «Ce l’ho fatta una volta ad affrontare le chemio, posso farcela anche la seconda. Forza, ripartiamo da capo». Insomma, li ha consolati, capite? Eppure, insisto, Giulia era una ragazza normale. Per esempio, come tutti i suoi coetanei, amava la musica. E in modo speciale un grande classico di Claudio Baglioni, nella versione cantata da Laura Pausini: «Strada facendo». «Strada facendo vedrai che non sei più da solo… mi trasmette proprio un grande slancio: dai che ce la fai! Strada facendo troverai anche tu un gancio in mezzo al cielo… Sì, mi dà leggerezza, una grande speranza». Strada facendo Giulia si è imbattuta nella storia di Chiara Luce Badano, morta nel 1990, a diciotto anni, per un tumore osseo e proclamata beata il 25 settembre 2010. E Dio solo sa quanto è stato provvidenziale questo incontro: «Lei è morta, però ha saputo vivere questa esperienza in modo così luminoso e solare, abbandonandosi alla volontà del Signore. Voglio imparare a seguirla, a fare quello che lei è riuscita a fare nonostante la malattia. La malattia non è stata un modo per allontanarsi dal Signore, ma per avvicinarsi a Lui…». Ma Dio dov’è? Avvicinarsi a Dio? Ma come, la malattia t’incalza, la tua vita è sempre più stravolta, il tuo fisico sempre più debilitato e tu ti avvicini a Dio anziché urlargli tutta la tua rabbia? In realtà anche Giulia a un certo punto è stata «molto arrabbiata». Di più: è scesa nell’abisso – il cristianissimo abisso – del mio Dio, mio Dio perché mi hai abbandonata? Racconterà, in seguito: «Continuavo a dire ai miei genitori: ma Dio dov’è? Adesso che sto malissimo, ho addosso di tutto, Dio dov’è? Lui che dice che posso pregare, può fare grandi miracoli, può alleviare tutti i dolori perché non me li leva? Dov’è?». Giorni drammatici, di autentica disperazione.. I medici pensavano a un ovvio, prevedibile crollo psicologico. Ma Giulia cercava un’altra risposta e l’ha trovata a Padova. Ci era andata per la radioterapia ed era finita nella basilica di Sant’Antonio, in cerca di un po’ di pace. A un certo punto una signora raccolta in preghiera, mai vista prima, le ha messo la mano sopra la sua mano malata. «Non mi ha detto niente, ma aveva un’espressione sul volto come se mi volesse comunicare: forza, vai avanti, ce la fai, Dio è con te. Sono entrata arrabbiata, in lacrime, proprio in uno stato pietoso, sono uscita dalla basilica con il sorriso, con la gioia che Dio non mi ha mai abbandonata. Ero talmente disturbata dal dolore che non riuscivo a sentirlo vicino, ma in realtà penso che lui mi stesse stringendo fortissimo. Quasi non ce la faceva più…». La gioia. Tenete bene a mente questa parola, perché in questa incredibile ma realissima storia sembra la più fuori posto e invece, alla fine, diventerà la parola chiave. Ma prima c’è da dire di un’altra grande passione di questa ragazza normale: la Madonna. Abbracciata in modo singolare in un primo viaggio a Medjugorje. E poi in un secondo più recente, chiesto per i suoi 14 anni, come regalo di compleanno, al seguito un pullman di 50 persone tra amici e parenti. Ha spiegato un giorno, in una testimonianza pubblica – non volava una mosca –, davanti a decine di ragazzi: «Non c’è una parola che possa descrivere Medjugorje: posso solo dirvi che l’amore della Madonna è talmente grande, è talmente forte che esplode in preghiera, conversioni, amore verso il prossimo». Va da sé che la devozione mariana si porta dietro un’altra passione: quella per il Rosario, recitato tutte le sere. Inusuale per una ragazzina? Può darsi. Ma Giulia ti sorprendeva sempre. Era sempre un passo avanti. E così, proprio nelle settimane di sofferenza più acuta, ha composto di suo pugno una «coroncina di puro ringraziamento». Diceva: «Nelle nostre preghiere, nelle nostre litanie, chiediamo sempre qualcosa per noi o per gli altri. Mai che ci si limiti a dire grazie, senza chiedere nulla in cambio». Questa formula non esisteva. Lei l’ha inventata e scritta. L’esame da 10 e lode Ma intanto la ragazza normale desiderava fortissimamente continuare a fare le cose normali della sua età. Per esempio l’esame di terza media. E trovando chissà dove le energie, sostenuta dalle insegnanti della scuola in ospedale (che lei amava profondamente e voleva fosse meglio conosciuta e valorizzata) e dalle prof della sua scuola media Savoia, anche questa volta ce l’ha fatta. A dispetto dei dati clinici e della sua prognosi, che la dava già per morta. Allo scritto di italiano un tema magistrale, ispirato al diario di un soldato al fronte. All’orale, con tutta la commissione d’esame riunita nel salotto di casa, la tesina sugli orrori delle guerre e della Shoah, con tanto di acutissima analisi critica del Guernica di Picasso. Il tutto unito da un filo vibrante: la trasposizione della sua sofferenza. Un’esposizione di mezz’ora filata, chiusa da un’irrituale ma quantomai appropriata standing ovation. Risultato: 10 e lode. Al suo fianco l’amica del cuore che singolarmente – ma non casualmente secondo Giulia – si chiama anche lei Chiara («È da sempre la mia migliore amica, lei è tutto per me»). Con la malattia, cresceva in lei l’urgenza di dare una testimonianza ai giovani, soprattutto a quelli che pensano di fare a meno di Dio, «impegnati in una frenetica caccia al tesoro, ma senza tesoro». Erano giorni di preghiera intensissima, di sofferenze offerte in particolare ai non credenti. Perché «ognuno ha un Dio e Dio c’è per tutti». Ecco l’idea di una video-testimonianza. Ancora volta ce l’ha fatta: l’intervista diventerà presto un dvd. Giulia, del resto, va detto con la dovuta cautela e senza enfasi, ma va detto, cambiava spesso le (moltissime) persone che incontrava. Chi entrava in casa sua, in quel bunker di serenità, ma anche di riservatezza e accoglienza che è la sua famiglia – a partire da mamma Sara, da papà Antonio e dal piccolo, formidabile Davide (9 anni) – si portava un carico di angoscia e usciva molto più leggero. Giulia, infine, credeva nei miracoli. Ma le grazie le chiedeva per gli altri, non per se stessa: in particolare i bambini malati conosciuti all’ospedale. Soltanto alla fine, quando il suo giogo era a tratti insopportabile e tutte le armi dei supereroi erano drammaticamente spuntate, ha iniziato a chiedere per sé. Ma solo «se è la volontà del Signore». Quale sia stata la volontà del Signore già lo sapete. La mattina del 19 agosto, a Madrid, il suo vescovo Francesco, che con lei aveva intessuto un dialogo fitto e confidenziale, ha raccontato la storia di Giulia ai mille e più ragazzi bergamaschi della Gmg. Non sapeva che si fosse aggravata così tanto. Poi la sera la Via Crucis, nella notte la notizia che era «andata incontro al Signore». Il giorno dopo, sabato, ha celebrato per lei la Messa con i giovani. E la mattina del lunedì, di ritorno da Madrid, qualche ora prima dei funerali, raccolto in preghiera con la famiglia, ha invitato a «correggere» così l’eterno riposo: «L’eterna gioia donale Signore, splenda a lei la luce perpetua. Amen». Con questa parola, gioia, di colpo così adeguata, finisce (o forse inizia), la storia di Giulia Gabrieli, la ragazza malata di tumore. Che è morta. Ma ce l’ha fatta. E giudicate voi, credenti o meno che siate, se tutto questo non è un miracolo.
P.S. Come si sarà intuito sulla storia di Giulia ce
n’è quanto basta per scrivere un libro.. In effetti era anche il suo sogno.
Quando il progetto è stato presentato alle Paoline di Milano, l’editore ha
deciso in pochi minuti, senza esitazione: si pubblichi. Il primo capitolo è già
scritto. Il resto verrà da sé. Perché qualcuno, che l’ha amata come una figlia
senza che il padre ne fosse geloso, è stato scelto – da Giulia – per conservare
i suoi scritti, registrare le sue testimonianze pubbliche, raccogliere le sue
confidenze. E ora ne completerà l’opera, prestando la sua penna e lasciando che
sia lei a scrivere. Il libro s’intitolerà: «Un gancio in mezzo al cielo».
Familiari e amici stanno realizzando un
blog dedicato a Giulia. Nel frattempo chi volesse inviare messaggi o
riflessioni può scrivere a: congiulia03@gmail.com
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